Notizie Notizie Mondo Tassi BTP rialzano la testa dopo calo sotto 4%. Bce determinata a sconfiggere inflazione anche a costo di recessione tecnica e rischi finanziari

Tassi BTP rialzano la testa dopo calo sotto 4%. Bce determinata a sconfiggere inflazione anche a costo di recessione tecnica e rischi finanziari

17 Novembre 2022 13:12

Dagli Stati Uniti all’area euro, i rendimenti dei titoli di stato hanno puntato fino a ieri verso il basso, prezzando banche centrali meno aggressive sui tassi a causa del  rallentamento dell’economia e dell’inflazione.

I tassi dei BTP a 10 anni sono arrivati ieri a bucare anche la soglia del 4%, scivolando poi stamattina fino al 3,886%, a fronte di uno spread BTP-Bund a 10 anni che ieri ha perso anche quota 190 punti base.

La buona notizia è che i tassi dei BTP rimangono anche oggi sotto la soglia del 4%. Tuttavia, la risalita è evidente, visto cherimbalzano al 3,95%.

Lo spread BTP-Bund scatta inoltre di oltre il 7% a 197 punti base.

Nel caso dei titoli di stato italiani, la pressione ribassista sui rendimenti è stata scatenata ieri dalle parole del numero uno di Bankitalia, il governatore Ignazio Visco, che ha fatto notare come diversi siano i commenti su una Bce che, nella sua lotta contro l’inflazione, si starebbe muovendo forse troppo velocemente nell’alzare i tassi di interesse. Gli investitori, che stavano già scommettendo su una Fed più clemente a seguito degli ultimi dati sull’inflazione made in Usa, hanno prezzato una Bce destinata anch’essa a diventare più dovish.

Secondo alcuni commentatori il Consiglio direttivo della Bce si starebbe ora muovendo in modo troppo aggressivo – ha detto Ignazio Visco, nel suo intervento alla sala dei gruppi parlamentari della Camera, aprendo il ciclo “Lezioni Ugo La Malfa”. In primo luogo – ha fatto notare il numero uno di Bankitalia -(secondo le critiche) la Bce starebbe prestando eccessiva attenzione all’inflazione corrente, non tenendo in debito conto che la politica monetaria esercita i suoi effetti sull’attività economica e sui prezzi con ampi ritardi. In secondo luogo, starebbe sottovalutando la possibilità che l’inflazione si riduca più velocemente del previsto a seguito dell’indebolimento dell’attività economica”.

La Bce guidata da Christine Lagarde, secondo alcuni critici e in base a quanto detto dal numero uno di Bankitalia, non avrebbe insomma “pienamente valutato le conseguenze di un irrigidimento sincronizzato delle politiche monetarie a livello globale, che non ha precedenti negli ultimi decenni. In un contesto così incerto credo sia utile tenere conto di queste osservazioni”. Detto questo, il governatore Visco ha detto anche di ritenere che “la strada intrapresa sia quella necessaria per mantenere ancorate le aspettative d’inflazione e contenere il rischio di una spirale prezzi-salari che amplificherebbe gli effetti negativi dell’inflazione sulle nostre economie“.

A esercitare una pressione ribassista sui rendimenti dell’area euro è stato nelle ultime sessioni anche il timore di una recessione nel blocco: tra l’altro, se le banche centrali stanno alzando le tassi, è proprio per raffreddare l’economia e dunque per far rientrare la minaccia dell’inflazione.

Le preoccupazioni sono state riaccese sempre ieri dal vicepresidente della Bce Luis de Guindos, che ha indicato come l’economia dell’Eurozona potrebbe entrare presto in una fase di recessione tecnica, ovvero di una recessione confermata da due trimestri consecutivi di crescita negativa del Pil. De Guindos ha anche presentato il Financial Stability Report, rapporto sulla stabilità finanziaria stilato dalla Banca centrale europea due volte all’anno, da cui è emerso un maggior rischio di instabilità finanziaria.

Le famiglie e le aziende stanno già avvertendo l’impatto dell’aumento dell’inflazione e il rallentamento dell’attività economica”, ha detto il numero due della Bce. Allo stesso tempo, “le condizioni di accesso ai finanziamenti si sono fatte più rigide, viste le strette monetarie delle banche centrali volte a controllare l’inflazione”.  In questo contesto, “le famiglie indebitate, le aziende indebitate e i governi indebitati dell’Eurozona sono quelli maggiormente esposti ai rischi finanziari, in caso di continuo aumento dei tassi di interesse. A rischio sono anche i mercati finanziari, in particolare alcuni fondi di investimento”. E se “l’outlook dovesse ulteriormente deteriorarsi, non si potrebbe escludere un aumento nella frequenza dei default delle aziende, soprattutto per quelle a utilizzo intensivo dell’energia”, esposte al dramma del #caroenergia e dell’aumento in generale dei costi delle commodities.

Sul mercato dei titoli di stato dell’area euro, nonostante le zavorre annunciate chiaramente dalla Bce, tornano tuttavia le vendite, a fronte di rendimenti che riprendono il trend rialzista.

Secondo alcuni operatori di mercato, la reazione si spiega con la determinazione della Bce di Christine Lagarde, nonostante i pericoli di recessione e instabilità finanziaria, ad alzare i tassi, per far rientrare la minaccia dell’inflazione.

D’altronde è stato lo stesso De Guindos a sottolineare che l’inflazione rimarrà elevata anche nel 2023, mentre l’esponente del Consiglio direttivo Madis Muller ha detto chiaramente che, in occasione del prossimo meeting dell’istituzione, sarà necessario provvedere a un altro “rialzo dei tassi significativo”.

L’inflazione nell’area euro continua tra l’altro a galoppare, se si considera che il dato diramato oggi ha indicato una crescita dell’indice dei prezzi al consumo pari a +10,6% su base annua, rivista lievemente al ribasso dal +10,7% della lettura preliminare.

Intanto, alcuni nomi altisonanti del mondo dell’alta finanza stanno prevedendo tassi in Eurozona e negli Stati Uniti più bassi rispetto a quanto scommesso dai mercati fino a poche settimane fa. Nel suo “Morgan Stanley’s 2023 Outlook: Growth Cools, Bonds Rule” , Andrew Sheets si è così espresso:

Il rallentamento della crescita e dell’inflazione dovrebbe portare le banche centrali a fare una pausa e a valutare la situazione. Gli istituti hanno appena alzato i tassi in modo significativo, e le strette monetarie hanno bisogno di un considerevole arco di tempo per funzionare. Con la crescita e l’inflazione che rallenteranno, noi crediamo che la Fed farà una pausa dopo aver portato i tassi, nella riunione di gennaio, fino al 4,625%”.

Lo scorso 2 novembre, la Fed ha alzato i tassi di 75 punti base, portandoli dal range compreso tra il 3% e il 3,25% al nuovo range compreso tra il 3,75% e il 4%, valore record dal 2008.

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Riguardo alla Bce, Sheets ritiene che la Bce di Christine Lagarde “frenerà le strette a marzo, al 2,50%”.

Lo scorso 27 ottobre 2022, il Consiglio direttivo dell’Eurotower ha deciso di innalzare di 75 punti base i tre tassi di interesse. I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale sono stati alzati per la precisione al 2,00%, al 2,25% e all’1,50%. I tassi sono stati alzati dalla Bce per la terza volta consecutiva.

Negli Stati Uniti, la possibilità di una Fed più dovish è stata confermata dalle dichiarazioni del governatore della banca centrale Usa Christopher Waller che ha ammesso che “i dati macro recenti mi hanno reso più tranquillo riguardo all’idea di un rialzo dei tassi di 50 punti base nel mese di dicembre e forse a rialzi inferiori dopo dicembre”.

Waller ha in qualche modo avallato quanto detto qualche ora prima dalla collega presidente della Fed di Kansas City, Esther George, ovvero che “avrebbe senso ridurre l’intensità dei tassi, l’anno prossimo, con strette monetarie dello 0,25%”.

Va detto che Waller ha ricordato comunque che “abbiamo ancora strada da fare per quanto riguarda i tassi, che dovranno essere alzati anche nel 2023”, aggiungendo che “la politica monetaria deve essere aggressiva al fine di ridurre l’inflazione”.

E anche George aveva avvertito che “la sfida reale è rappresentata dal pericolo di fermare le strette monetarie in modo prematuro”.

Rimangono in ogni caso sotto controllo i rendimenti dei Treasuries Usa, con quelli a 10 anni che, dopo essere arrivati a bucare ieri anche la soglia del 3,7%, oggi sono in rialzo al 3,742% circa, a fronte del 4,372% dei rendimenti dei Treasuries a due anni, che sono poco mossi.