Petrolio: strozzature all’offerta spingono i prezzi ai massimi da due anni
Prosegue la corsa del greggio. Salito ieri ai massimi da due anni, il Brent si conferma tonico in quota 58 dollari il barile, oltre 20 punti percentuali in più rispetto a tre mesi fa. Due i fattori che stanno spingendo i prezzi: da un lato c’è il progressivo riequilibrio del mercato, dall’altro la possibile riduzione dell’offerta in arrivo dal Kurdistan iracheno.
Nell’incontro Opec che venerdì scorso si è tenuto a Vienna, il Ministro del petrolio del Kuwait ha rimarcato i miglioramenti registrati dai fondamentali di mercato dopo la riduzione dell’output concordata tra i maggiori produttori e il rafforzamento della domanda innescata dal miglioramento del contesto macro globale. “Il mercato è in fase di ribilanciamento”, ha detto Janet Kong di BP. “Siamo in un momento in cui assistiamo ad una continua riduzione delle scorte”.
Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli inviti ad innalzare il tasso di “compliance” all’accordo e ad includere quei Paesi finora esentati. “Tutti i membri dovrebbero impegnarsi al 100% e dovrebbero aderire anche Nigeria e della Libia”, ha recentemente detto il Ministro del petrolio iraniano, Bijan Zanganeh. Inoltre, l’intesa che ogni giorno riduce l’offerta di greggio a livello globale di 1,8 milioni di barili sarà certamente prorogata oltre la scadenza del marzo 2018.
Ma dietro l’escalation dei prezzi c’è anche il referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno. La Turchia, infatti, ha già minacciato di bloccare i flussi di greggio estratto nella regione e diretto verso i propri porti. Ogni giorno, dal porto di Ceyhan partono circa 550 mila barili di petrolio in arrivo dal Kurdistan.
“Abbiamo il rubinetto, quando decideremo di chiuderlo, sarà finita”, ha detto il presidente turco Erdogan, evidentemente preoccupato dall’espandersi dei desideri di indipendenza nei propri confini.