Notizie Notizie Mondo Il tallone di Achille della Cina è il debito. Ma le probabilità di shock nel breve termine sono basse

Il tallone di Achille della Cina è il debito. Ma le probabilità di shock nel breve termine sono basse

18 Dicembre 2017 09:00

 

 

 

La piccola correzione della Borsa cinese dei giorni scorsi ha destato qualche preoccupazione tra gli investitori, perché muove dalla diversa enfasi sullo stato dell’economia del Paese data dal Presidente Xi Jinping e da Zhou Xiaochuan, il governatore della People’s Bank of China che ha mandato ripetuti segnali di allarme sull’elevato indebitamento del Paese. Durante il diciannovesimo congresso del partito comunista che si è tenuto lo scorso ottobre Xi Jinping ha al contrario rinsaldato la propria leadership puntando sulle prospettive di crescita e sul potenziale di riforma dell’economia e del sistema finanziario.

Indebitamento da primato

Qual è allora la reale situazione nel Paese del dragone? “Innanzitutto, occorre dire che la particolare natura dell’economia cinese – dove il governo controlla molte imprese private, le cosiddette SOE (State-owned Enterprise) – rende difficile classificare il debito che, pertanto, ha più senso considerare a livello aggregato”, risponde Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy. E, seguendo il suggerimento, possiamo dire che il dato cumulativo del debito di Stato, imprese e famiglie ha raggiunto il 274% del PIL lo scorso giugno, partendo dal 150% nel 2008. Va detto che si tratta di dati ufficiali, che non comprendono lo «shadow banking», cioè i prestiti «ombra» tra privati.
In altre parole, il livello attuale dell’indebitamento cinese è paragonabile a quello che si registra nelle economie avanzate, come gli Stati Uniti o l’Europa. “Ma un’economia emergente dovrebbe mantenersi su un livello più basso, sia perché ha un accesso ai mercati meno consolidato, sia per mantenere un margine per finanziare nuove infrastrutture e progetti di crescita o fronteggiare eventuali battute d’arresto”, è il commento di Ramenghi. Che aggiunge: “Inoltre, preoccupa la velocità con cui è cresciuto l’indebitamento”.

Un quarto della crescita mondiale

Quest’anno la Cina ha rappresentato un quarto della crescita economica globale e si è confermata il primo consumatore di materie prime. L’allarme di Zhou Xiaochuan non riguarda, quindi, solo il suo Paese: quanto succede in Cina ha implicazioni su scala globale ed è destinato a influenzare i mercati internazionali.

“Per fortuna, la minaccia del debito cinese non è probabilmente imminente – dice Ramenghi – L’economia continua a marciare a buon passo (6,8% di crescita a settembre), mentre lo Stato e la Banca centrale esercitano, di concerto, un forte controllo sui flussi di capitale”.
Inoltre, una serie di riforme sono state avviate per modernizzare l’economia e per rendere più redditizie le aziende controllate dallo Stato. “In particolare, le istituzioni cinesi sembrano comprendere che la prossima fase di crescita dovrà essere necessariamente guidata dai consumi e dai servizi e richiede, pertanto, una mutazione del modello economico che tanto successo ha conosciuto finora”, aggiunge lo strategist.

Il debito interno

Inoltre, un po’ come succede per il Giappone o l’Italia, gran parte del debito è interno all’economia. Infatti, la forte propensione al risparmio delle famiglie cinesi fa sì che le banche abbondino di liquidità, che viene impiegata sul mercato domestico. Il debito verso l’esterno è quindi limitato al 13%, cosa che riduce fortemente le probabilità di uno shock nel breve termine.
Nel complesso, ci aspettiamo che le politiche economiche del governo possano portare a una decelerazione controllata dell’economia (dal 6,9% di quest’anno al 6,4% del 2018), mentre il tasso di crescita dei prestiti bancari dovrebbe scendere al 13% per tenere sotto controllo gli eccessi senza avere contraccolpi per il sistema produttivo, almeno nell’immediato”, è il commento di Ramenghi. Che conclude: “Il debito cinese va monitorato con attenzione, ma a breve termine dovrebbe rimanere gestibile: manteniamo pertanto una posizione di sovrappeso sull’azionario globale”.