Notizie Notizie Mondo Outlook 2018: Inversione del quantitative easing, rialzi dei tassi e pressioni inflazionistiche in Usa

Outlook 2018: Inversione del quantitative easing, rialzi dei tassi e pressioni inflazionistiche in Usa

29 Dicembre 2017 14:38

 

 
 
Per quasi un decennio i mercati finanziari hanno beneficiato di un’ondata di denaro a basso costo negli USA, grazie ai massicci programmi di quantitative easing della Federal Reserve che sono stati avviati a seguito della crisi finanziaria globale del 2007-2009. La crescita dello stato patrimoniale della Fed, da circa 900 miliardi nel 2008 a quasi 4,5 trilioni di dollari oggi, è stata la forza dominante che ha influenzato i mercati finanziari globali. Il QE ha spinto in giù i rendimenti e in alto i prezzi degli asset, orientando molti investitori verso asset più rischiosi, mantenendo nel contempo i costi del capitale artificialmente bassi.
Tutto ciò ha distorto le valutazioni nelle obbligazioni e nelle azioni”, dice Michael Hasenstab, Chief Investment Officer di Templeton Global Macro. Che aggiunge: “In breve, l’epoca del QE ha creato un mercato apparentemente compiacente che vede rendimenti persistentemente bassi come una condizione permanente. Tuttavia, queste condizioni non sono né normali né permanenti e prevediamo che l’inversione del QE da parte della Fed inciderà significativamente sui mercati finanziari nel 2018 e oltre”.
 
Inflazione e rendimenti dei Treasury Bond in salita
 
I tre fattori che impatteranno sui mercati finanziari globali nel 2018 saranno l’inversione del QE, il rialzo dei tassi e le pressioni inflazionistiche crescenti negli USA. “Quando le prime azioni del QE furono messe in atto dalla Fed quasi un decennio fa, molti scettici sostenevano che pompare denaro nel sistema finanziario avrebbe causato elevata inflazione – racconta Hasenstab – Ma l’inflazione non è mai accelerata, in parte perché le banche e le società finanziarie hanno accumulato liquidità, mentre l’attività del credito è rimasta limitata dalle normative introdotte a seguito della crisi finanziaria come il Dodd-Frank Act”.
Tuttavia, secondo lo strategist, i fattori che limitavano l’inflazione e la creazione di denaro si stanno avvicinando al termine. Gli sforzi di deregolamentazione attraverso interventi esecutivi sono già in corso, mentre l’attività creditizia è accelerata. “L’espansione del credito e la “velocità del denaro”, che non si è concretizzata durante lo scorso decennio, ultimamente si sta avviando – dice Hasenstab – Grazie alla potenziale accelerazione nella “velocità del denaro”, insieme alle pressioni inflazionistiche e a quelle del mercato del lavoro negli Stati Uniti, prevediamo più alta inflazione e più alti rendimenti delle obbligazioni governative”.

 

EM: scegliere i Paesi  idiosincratici
 
Gli investitori devono quindi prepararsi per questi rischi. Ma non solo. L’impatto della politica della Fed meno accomodante sui Mercati Emergenti varierà di Paese in Paese, e non tutti beneficeranno dell’aumento dei tassi. “È importante individuare Paesi con valore idiosincratico che potrebbero essere meno correlati con i rischi beta (di mercato) – spiega Hasenstab – Paesi che sono più dinamici a livello domestico e sono meno dipendenti dal commercio globale spesso hanno queste qualità idiosincratiche insieme a resistenze intrinseche agli shock globali”.
Un Paese che ha già dimostrato tale resistenza negli ultimi anni è l’Indonesia. Per altri, come Brasile e Argentina, i rischi economici sono legati alle riforme in corso, piuttosto che a ciò che accade al di fuori dei loro confini.

Va poi detto che un contesto di rialzo dei differenziali dei tassi più alti può essere cruciale per qualche economia: Brasile e Messico hanno rendimenti di breve periodo intorno al 7%, India e Indonesia intorno al 6%, e Argentina circa 25% (a novembre 2017). Se i tassi USA cresceranno di 100 o 200 punti base – dice lo strategist – questi Paesi hanno maggiore protezione per assorbire le pressioni dei tassi. Per contro, i Mercati Emergenti con squilibri macroeconomici o contesti di tassi bassi dovrebbero essere impattati più duramente dai tassi in crescita”.

Seguendo questo ragionamento, Paesi come Turchia o Venezuela si mostrano fondamentalmente vulnerabili a uno shock dei tassi. E un altro gruppo di Paesi potenzialmente vulnerabile è quello con tassi più bassi, come Corea del Sud o Singapore, che nonostante forti fondamentali macroeconomici potrebbero subire gli effetti del deprezzamento valutario man mano che il differenziale di rendimento con gli USA si inverte.

Di conseguenza riteniamo che le allocazioni dei mercati emergenti nel 2018 dovrebbero evitare i rischi “broad” beta e trovare quelle fonti idiosincratiche di alpha (performance migliore del mercato) in grado di resistere al rialzo dei tassi”, conclude Hasenstab.