Notizie Notizie Mondo Banche Centrali, La fine del QE non segnerà l’ora X della volatilità. Scarso l’impatto sui portafogli

Banche Centrali, La fine del QE non segnerà l’ora X della volatilità. Scarso l’impatto sui portafogli

24 Ottobre 2017 20:59

 

 

Da dieci anni l’economia globale vive in condizioni ingannevoli. Le misure di allentamento quantitativo (QE) delle Banche centrali hanno frenato infatti una serie di forze naturali dei mercati, riducendo l’incertezza e sopprimendo la volatilità. Ma oggi la prospettiva di un ritiro di tali misure sta alimentando la paura che tali forze possano improvvisamente riemergere, creando scompiglio sui mercati. “Tuttavia, sebbene la riduzione dei bilanci da parte delle Banche centrali avrà certamente un impatto, il processo potrebbe svolgersi diversamente da come la maggior parte degli investitori se lo aspetta”, spiega Nikolaj Schmidt, Chief International Economist di T. Rowe Price.
 
Il ruolo del QE

 

Se viene universalmente riconosciuto il ruolo del QE nel sopprimere la volatilità di mercato, decisamente meno discusso è l’effetto che ha avuto sull’incertezza economica e sulla crescita. Anche i principali sviluppi politici degli ultimi anni – per esempio la Brexit, le politiche monetarie straordinarie, le tensioni geopolitiche in Asia e Medio Oriente – sembrerebbero aver reso più difficile predire in maniera accurata i dati macro. Tuttavia, come spiega Schmidt, è accaduto esattamente il contrario. “L’indice GS Macro Data Platform Economic Surprise, che registra le “sorprese” macro economiche positive e negative rispetto alle attese, suggerisce che negli ultimi 3-4 anni i dati macro sono diventati più facili da prevedere – dice lo strategist – Ciò suggerisce che il QE ha aiutato a ridurre l’incertezza economica”.

Equilibrio di portafoglio

Il terzo impatto derivante dal piano di allentamento quantitativo è visibile nella compressione del premio per la scadenza dei titoli Usa, vale a dire il rendimento in più chiesto dagli investitori per comprare obbligazioni di lungo termine piuttosto che di breve. “Nonostante questi effetti – dice Schmidt – i dati suggeriscono che il QE potrebbe non aver funzionato esattamente come le Banche centrali si aspettavano”. Comeè stato detto nel 2010 dall’allora presidente della Fed, Ben Bernanke, una delle principali teorie alla base del QE è quella dell’effetto di equilibrio di portafoglio, secondo cui gli acquisti di titoli a lungo termine da parte di una Banca centrale influenza le condizioni finanziarie cambiando il mix di asset disponibili per gli investitori.

“Se oggi l’effetto di equilibrio del portafoglio fosse effettivamente funzionante, ci aspetteremmo dei premi per il rischio bassi in tutte le asset class – afferma Schmidt – Tuttavia, sebbene tali premi siano effettivamente scesi in scia all’espansione di bilancio della Fed, da allora sono risaliti. E i premi al rischio creditizio negli Stati Uniti e in Europa sono elevati, in base agli standard storici”.

 

L’effetto lungo del QE

 

Ciò implica che l’effetto di equilibrio del portafoglio è in qualche modo attenuato, e ciò è importante poiché il processo di riduzione dei bilanci della Fed è pronto a partire. “Ciò farà sì che una grande quantità di liquidità immessa tramite il QE resterà nel sistema per molti anni a venire – dice Schmidt – In altre parole, l’ondata di stimolo monetario non recederà ancora per qualche anno e il processo sarà così lento che i suoi effetti non si sentiranno per un po’”. Secondo lo strategist quindi la situazione attuale sarà conservata per più tempo del previsto, continuando a comprimere la volatilità di mercato e macroeconomica, finché il QE non sarà ridotto abbastanza da permettere alle forze naturali di mercato di tornare in gioco.
 
Rischio di rialzo dei tassi sottostimato
 
Secondo lo strategist i diffusi timori per la riduzione del bilancio della Fed hanno creato in molti investitori aspettative eccessive su quanto velocemente tale processo impatterà sui portafogli. E ciò è avvenuto a scapito di una maggiore attenzione per rischi più imminenti.

A nostro avviso – dice Schmidt – la potenziale estensione del QE crea un rischio indiretto maggiore rispetto alla prospettiva di una lenta riduzione del bilancio dell’Istituto centrale, poiché il continuo stimolo monetario probabilmente darà sostegno ai salari, alla crescita, alla propensione al rischio, e potrebbe spingere le Banche centrali – prima fra tutte, la Fed – ad alzare i tassi di interesse più aggressivamente di quanto scontato oggi dai mercati”.
Per prepararsi alla possibilità di un ciclo di rialzi dei tassi più aggressivo, secondo lo strategist, gli investitori obbligazionari potrebbero considerare una diversificazione dell’esposizione su una serie di settori obbligazionari, un accorciamento della duration e posizioni su titoli a tasso variabile e su ABS.