Notizie Notizie Mondo Azioni e bond pagano lo schiaffo Fed sui tassi: in vista carrellata strette monetarie di 50 pb?

Azioni e bond pagano lo schiaffo Fed sui tassi: in vista carrellata strette monetarie di 50 pb?

22 Aprile 2022 10:37

La Fed di Jerome Powell torna a tramortire i mercati mondiali, sia azionari che obbligazionari, promettendo di andare avanti nella battaglia lanciata contro l’impennata dell’inflazione negli Stati Uniti.

L’ennesimo schiaffo hawkish ai mercati è arrivato nelle ultime ore con l’intervento di Powell a una conferenza organizzata dall’Fmi, Fondo Monetario Internazionale, in occasione delle sue riunioni primaverili (dove sono state snocciolate previsioni sull’andamento del Pil globale non proprio rassicuranti, visto che l’outlook per il 2022 e il 2023 è stato rivisto al ribasso, in modo netto in alcuni casi, come in quello dell’Italia).

Sempre da Washington non sono stati di certo di buon auspicio gli avvertimenti che sono stati lanciati sul rischio di un sell off sull’azionario e i bond, inclusi i bond sovrani, da Tobias Adrian, direttore del dipartimento dei mercati monetari e dei capitali dell’Fmi ed ex vice direttore generale senior della Federal Reserve Bank of New York.

“Ritengo che nulla sia al sicuro, in questo momento”, ha detto Adrian, riferendosi a eventuali asset su cui investire.

Ieri è arrivata sui mercati una ulteriore mazzata firmata Jerome Powell, che ha detto di ritenere “appropriato muoversi un po’ più velocemente” nel ciclo di rialzo dei tassi.

“Direi che una stretta di 50 punti base sarà sul tavolo in occasione del prossimo meeting di maggio”.

Il banchiere centrale ha ricordato in tal senso che “nella riunione precedente, molti (esponenti) della commissione hanno ritenuto appropriati uno o più rialzi di 50 punti base“.

Fed e tassi: cosa prezzano i mercati e cosa dicono gli esperti

I mercati hanno preso alla lettera le indicazioni di Powell sulla necessità di alzare i tassi in modo più aggressivo, tanto da scommettere su un stretta di 50 punti base nel mese di maggio con una probabilità che è praticamente una certezza, pari al 97,6%, stando a quanto emerge dal FedWatch Tool del CME Group.

Wall Street l’ha presa piuttosto male: lo S&P 500 è scivolato dell’ 1,48% a 4.393,66 punti; il Dow Jones Industrial Average ha perso 368,03 punti, o -1,05%, a 34.792,76, mentre il Nasdaq è sceso del 2,07% a quota 13.174,65.

Sul mercato del reddito fisso, i tassi sui Treasuries Usa a 10 anni sono volati fino al 2,95%, ormai a un passo dalla soglia psicologica del 3%: ciò che fa impressione, come ha rimarcato Art Hogan, chief market strategist di National Securities, è non tanto il fatto che i rendimenti stiano puntando con decisione verso l’alto, quanto la velocità a cui il rialzo sta avvenendo.

“Non è il livello a cui stiamo arrivando – tutti prevedono ormai che i tassi decennali centreranno il 3% – che sta preoccupando. E’ che nessuno vuole arrivare lì in un giorno. E’ questo il problema”, ha detto Hogan.

Fed e tassi, Nomura stima due strette consecutive di 75 punti base

In questo contesto, con un tasso di inflazione che negli Usa galoppa al ritmo più forte in 40 anni, e a fronte di Powell che si limita a parlare dell’eventualità di una stretta di 50 punti base nel prossimo meeting di maggio, gli analisti hanno rivisto i loro outlook sui tassi ulteriormente al rialzo.

E’ il caso degli economisti di Nomura, che prevedono ora una stretta di 50 punti base a maggio, seguita da due strette di 75 punti base nei meeting di giugno e di luglio. (E Nomura, vale la pena di ricordare, è stata tra le prime a paventare rialzi dei tassi di 50 punti base).

In media, a parte il caso particolare di Nomura, gli analisti stimano ora tre strette monetarie di 50 punti base nei prossimi meeting del Fomc – il braccio di politica monetaria della Fed – ovvero delle riunioni del 3-4 maggio; del 14-15 giugno; e del 26-27 luglio.

In realtà l’ipotesi di Nomura non è poi neanche eccessiva, se si considera l’appello arrivato in tal senso dall’ormai noto super falco della Fed, il presidente della Federal Reserve di St. Louis James Bullard, che ha ribadito qualche giorno fa la necessità, a suo avviso, che i tassi sui fed funds vengano alzati fino al 3,5% entro la fine dell’anno per affossare la fiammata delle pressioni inflazionistiche.

Bullard è lo stesso che ha ha stroncato il neutral rate, ed è lo stesso che ha invocato un rialzo di 300 punti base entro il terzo trimestre. Ed è anche il super-hawk che di certo non ha applaudito al primo rialzo dei tassi Usa dal 2018 che la Fed ha annunciato il 16 marzo scorso, quando ha portato i tassi sui fed funds al nuovo range compreso tra lo 0,25% e lo 0,50%, alzandoli di 1/4 di punto percentuale e così facendo attirando un bel po’ di critiche da chi ritiene che abbia fatto troppo poco e anche troppo tardi. Il che è probabilmente vero per lo stesso Powell, visto che il banchiere centrale ora sembra essere colpito dall’ansia di alzare i tassi.

Mercati contagiati da ansia Powell: tassi a due anni a record da 2018

E’ questa sua ansia che sta contagiando i mercati, sia quelli dell’azionario che dei bond. Basti pensare che, oltre ai tassi dei Treasuries a 10 anni, sono balzati nelle ultime ore anche quelli dei tassi a due anni, più monitorati quando si parla di Fed in quanto più sensibili alle aspettative che si formano sui mercati riguardo alla politica monetaria della banca centrale. Questi tassi sono balzati anch’essi al record dalla fine del 2018, schizzando di 8 punti base al 2,76%, scontando anche la dichiarazione di Powell sul trend del mercato del lavoro: “Il mercato del lavoro è troppo surriscaldato…surriscaldato in modo insostenibile”.

Il risultato è che, tornando all’outloook prezzato in media dai mercati, oltre a scommettere al 100% su strette di 50 punti base nelle riunioni del Fomc di maggio e di giugno, si punta ora su un rialzo di 50 pb anche a luglio, con una probabilità del 75%, e su una ulteriore stretta di 50 punti base a settembre, con una probabilità del 50%.

L’ennesimo shock Fed ha colpito soprattutto i titoli tecnologici, in particolare i FANG+, con le vendite che hanno cancellato praticamente tutta la fase di melt-up della fine di marzo, affossando le quotazioni dell’indice FANG+ al minimo record dal novembre del 2020.

Tornando ai Treasuries, Bullard è stato il classico coltello che si rigira nella piaga, anche per la schiettezza con cui ha detto che “il mercato dei bond non sembra essere il posto in cui rifugiarsi ora”. Apriti cielo, con il boom dei tassi che ha interessato anche i Treasuries a 30 anni, saliti di 5 punti base.

C’è da dire che il balzo ha interessato soprattutto i tassi della parte iniziale della curva dei rendimenti Usa.

A proposito della soglia del 3% ormai vicina per i tassi decennali Todd Schubert, responsabile della divisione di ricerca del reddito fisso di Bank of Singapore, ha così commentato:

“Tassi al 3% per i Treasuries Usa a 10 anni rappresentano una barriera psicologica importante, e dovrebbero essere raggiunti nei prossimi giorni, intensificando le sfide già formidabili che stanno creando turbolenze nei mercati dei bond. Al momento, i tassi sono la forza schiacciante che sta dominando i mercati del reddito fisso”.

Sul trend futuro dei tassi sui fed funds Ben Jeffery, strategist dei tassi di BMO Capital Markets, ha detto di credere che “rialzi dei tassi di 50 punti base a maggio e giugno sarebbero ragionevoli, mentre una stretta di 50 punti base a luglio dipenderà dai dati (macro) in arrivo nei prossimi mesi”.

Detto questo, se la Fed decidesse di imbarcarsi in una carrellata di strette di 50 punti base, potrebbe arrivare ad alzare i tassi al ritmo più aggressivo degli ultimi 40 anni, ovvero dagli anni Ottanta, quando fece fronte a un balzo dell’inflazione a livelli record della storia Usa, pari al 14,6%; la banca centrale fu così costretta ad alzare i tassi dal 14% del gennaio del 1980 fino al 19-20% del 5 dicembre dello stesso anno, livello che rappresenta il record della storia Usa.

L’ultima volta invece in cui la banca centrale americana alzò i tassi di mezzo punto percentuale fu nel maggio del 2000. Successivamente, la Fed alzò infatti i tassi sempre di 25 punti base.