Notizie Notizie Mondo Ma quale tapering, la Bce di Lagarde rimane super dovish. La Fed di Powell invece costretta a stare sull’attenti

Ma quale tapering, la Bce di Lagarde rimane super dovish. La Fed di Powell invece costretta a stare sull’attenti

10 Giugno 2021 16:45

Nessun tapering almeno per ora, l’area euro può stare tranquilla: potrà contare ancora per molto tempo sul sostegno della Bce e delle misure straordinarie di stimoli monetari anti-Covid che sono state lanciate da Christine Lagarde.

La banca centrale europea conferma la sua impostazione dovish e Lagarde ripete che è “troppo presto, prematuro”, parlare di un’una strategia di uscita dal PEPP, il QE pandemico con cui l’Eurotower fa shopping di bond per un valore di $80 miliardi al mese (e che accompagna il tradizionale programma di acquisto di asset, APP, che prosegue al ritmo di $20 miliardi al mese).

L’inflazione non è un problema, anzi è ancora molto lontana dall’obiettivo della Bce (poco al di sotto del 2%).

Dalla conferenza stampa in cui Lagarde prende la parola rispondendo alle domande dei giornalisti, emerge l’insistenza con cui la numero uno della Bce è costretta a rimarcare quanto già detto: ovvero che la crescita dell’inflazione, nell’area, è dovuta soprattutto a fattori di natura temporanea, dunque transitori, che andranno via all’inizio 2022.

Certo, lo stesso staff della banca centrale ha rivisto al rialzo le stime sul Pil e sull’inflazione dell’Eurozona del 2021 e del 2022, lasciando invariariato l’outlook per il 2023.

Bce alza stime Pil e inflazione Eurozona 2021-2022

Per la precisione, le stime sull’inflazione del 2021 sono state alzate dal +1,5% precedentemente atteso al +1,9%, mentre quelle del 2022 sono state migliorate dal +1,2% al +1,5%. L’outlook sull’inflazione dell’Eurozona relativo al 2023 è stato lasciato invariato a +1,4%.

Nonostante i due upgrade, si nota che il trend stimato di crescita dell’inflazione segue una traiettoria discendente, non ascendente: dal +1,9% del 2021 al +1,5% del 2022 e ancora più basso al +1,4% del 2023.

Parlare di surriscaldamento dei prezzi non ha dunque affatto senso, in Eurozona, visto che l’accelerazione che si vedrà fino a fine anno è dovuta al boom dei prezzi energetici e anche ai problemi che stanno colpendo l’offerta, incapace – come dimostra il caso dei chip per auto riportato dalla stessa Lagarde – di adeguarsi alla domanda che, con le riapertura dell’economia che sta uscendo finalmente dalla fase di lockdown da Covid-19, continua a rafforzarsi.

Migliorato anche l’outlook sul Pil dell’area euro del 2021 e del 2022 rispettivamente a una crescita pari a +4,6% e +4,7%, rispetto alla precedente stima di una espansione pari a +4% e +4,1%.

Ma anche in questo caso la previsione per il 2023 è stata lasciata ferma, esattamente a +2,1%. Inoltre la Bce non ha nascosto di avere ancora qualche timore per l’economia dell’Eurozona, con una frase che non lascia spazio a dubbi: “Siamo ancora preoccupati per la cicatrice che la pandemia lascerà”.

Bce, il commento di Goldman Sachs

Così commenta Gurpreet Gill, strategist macro e del reddito fisso globale di Goldman Sachs Asset Management:

“Nonostante l’outlook di crescita più luminoso, la Bce ha scelto di mantenere la linea dovish, confermando il ritmo degli acquisti (di asset che avvengono con il PEPP) a un livello invariato, dunque, a un ‘ritmo significativamente più alto rispetto a quello dei primi mesi dell’anno’, a causa della debolezza dell’inflazione e, per certi versi, a causa anche delle sfide di più lungo termine legate ai debiti creati con la pandemia (leggi debiti più alti)”.

Certo, come ha fatto notare Lagarde, “ci aspettiamo che l’economia (dell’area euro) acceleri il passo nella seconda metà dell’anno, contestualmente all’ulteriore ritiro delle misure di contenimento” lanciate per contenere i contagi del coronavirus, e in un contesto in cui le vaccinazioni continuano. Tuttavia il quadro della ripresa – conferma lo stesso esperto di Goldman Sachs – non è uniforme: ci sono problemi legati all’offerta che stanno sfidando la produzione del settore manifatturiero, mentre la crisi che ha investito il turismo continuerà a essere un ostacolo per il Sud Europa. In più, spazi per una ulteriore accelerazione della crescita rispetto ai livelli attuali appaiono in qualche modo limitati.  Sia l’inflazione legata alla riapertura delle economie che il rialzo dei prezzi provocato dai problemi che si stanno presentando nella catena di approviggionamento si confermeranno fattori transitori, il che significa che noi (di Goldman Sachs) crediamo che l’inflazione rimarrà ancorata al di sotto del target della Bce, una battuta d’arresto che non è certo la benvenuta nell’area euro”.

L’inflazione dell’Eurozona è talmente poco pervenuta che lo strategist, parlando di “un percorso di medio termine che rimane incerto (ma anche altrove)”, crede che “le prospettive di rialzi dei tassi da parte della Bce siano limitate fino ai prossimi tre anni“.

Concorda Paul Diggle, vice capo economista di Aberdeen Standard Investments: “

Avanti così, nessun tapering in vista”. Questo è il messaggio che la BCE ha inviato con successo con la decisione di oggi. La decisione di politica monetaria è quasi parola per parola invariata da aprile, con il proseguimento degli acquisti di asset al recente ritmo più elevato. Gli investitori guardano la conferenza stampa e le nuove previsioni alla ricerca di qualsiasi segnale che indichi un atteggiamento da falco, ma la dichiarazione è risolutamente dovish e continua con una politica monetaria molto accomodante”.

Occhio anche al commento di Silvia Dall’Angelo, Senior Economist per la divisione internazionale di Federated Hermes:

“La riunione di oggi della BCE è stata un vero e proprio esercizio di bilanciamento tra il riconoscimento dei recenti progressi in termini di prospettive economiche e il mantenimento di condizioni di finanziamento favorevoli per sostenere la ripresa che sta prendendo forma. Alla fine della tanto attesa revisione del PEPP, la BCE ha confermato che manterrà un ritmo ‘significativamente’ più veloce di acquisti per il prossimo trimestre. Non è una sorpresa, dato che la ripresa europea è appena iniziata, in un contesto dominato ancora dalla persistente incertezza sull’evoluzione della pandemia. Tuttavia, la decisione è stata probabilmente scomoda per la frangia più hawkish del Consiglio direttivo, soprattutto alla luce del recente miglioramento delle prospettive. A partire dalla riunione di marzo, gli sviluppi economici sono stati positivi. Il PMI composito dell’Eurozona è aumentato complessivamente di 8,3 punti, le campagne di vaccinazioni hanno accelerato su tutta la linea nelle ultime settimane, portando ad una graduale riapertura delle economie europee, ed è stato certificato il Recovery fund europeo. Tuttavia, la ripresa dell’Eurozona è in ritardo rispetto alle altre economie avanzate e la bilancia dei rischi è ancora inclinata verso il basso.

“Elemento ancora più importante – si legge nella nota – l’inflazione core è rimasta ben al di sotto dell’obiettivo ed è improbabile converga per lungo periodo intorno al 2% nell’orizzonte di previsione della BCE. Tutto sommato, ha assolutamente senso che la BCE mantenga un ritmo più veloce di acquisti del PEPP – 80 miliardi di euro al mese dal suo annuncio di marzo, rispetto ai 60 miliardi di euro all’inizio di quest’anno – durante i mesi estivi, che di solito mostrano una certa volatilità”.

“Sullo sfondo -conclude Dall’Angelo – la BCE deve affrontare problemi più grandi. La scadenza del PEPP alla fine di marzo 2022 potrebbe portare agli effetti di ‘avvicinamento ad un bordo della scogliera’. Il quadro per gli acquisti deve evolvere per tutelare la propria flessibilità che è stata incorporata nel PEPP e per offrire maggiore chiarezza sulla funzione di reazione. Allo stesso tempo, dal momento che la Fed ha adottato un quadro di ‘obiettivo medio d’inflazione’ nel settembre 2020, le politiche della BCE sono destinate a rimanere strutturalmente più rigide di quelle della Fed, il che ha conseguenze sull’Euro e sulle prospettive di inflazione. La revisione della strategia in corso offre di fatto alla BCE l’opportunità di affrontare entrambe le questioni, ma questo potrebbe rivelarsi un compito impegnativo dati i segnali di spaccatura tra ‘colombe’ e ‘falchi’ all’interno del Consiglio direttivo.

Lo dice anche Lagarde: Europa e Usa in due fasi diverse del ciclo

Diverso il caso dell’America – e durante la conferenza stampa Lagarde lo ripete più volte:

“l’Europa e gli Usa si trovano in stadi del ciclo diversi”.

Se il tapering del PEPP da parte della Bce si presenta altamente improbabile, quello della Federal Reserve di Jerome Powell torna invece a preoccupare i mercati, complice la pubblicazione del grande market mover di oggi, diramato mentre la presidente della Bce aveva appena iniziato a parlare:

l’inflazione Usa, misurata dall’indice dei prezzi al consumo che, dopo il +4,2% di aprile, ha accelerato ulteriormente il passo schizzando di ben il 5% su base annua, a maggio, al ritmo più forte dal 2008. Il balzo è stato decisamente più forte delle attese (che erano di una crescita del 4,7%). Aumento record anche per la componente core, volata del 3,8% sempre su base annua, al ritmo più forte dal 1992. Su base mensile, l’indice CPI è salito dello 0,6% a maggio, mentre l’inflazione core è avanzata dello 0,7%.

L’inflazione +5% a maggio si spiega sicuramente con il balzo dei prezzi energetici, pari a +28,5% (con quelli della benzina che hanno fatto +56% a causa del base effects, ovvero a causa del fatto che, nel maggio del 2020, la domanda di benzina era crollata a causa della pandemia).

Detto questo, su base mensile, l’indice dei prezzi energetici è rimasto invariato “con la flessione dell’indice relativo alla benzina che ha di nuovo compensato gli aumenti degli indici dei prezzi dell’elettricità e del gas naturale”.

Inoltre, sempre dal dato è emersa la performance delle componenti seguenti:

  • l’indice dei prezzi dei mobili delle famiglie – così come riportato dal dato US CPI diramato dal dipartimento del Lavoro Usa – è salito a maggio dell’1,3%, registrando l’incremento più forte dal gennaio del 1976.
  • l’indice dei nuovi veicoli è salito dell’1,6%, l’incremento mensile di un mese più significativo dall’ottobre del 2009.
  • L’indice dei prezzi dei biglietti aerei è aumentato di nuovo, riportando un rialzo del 7%, dopo il +10,2% di aprile.
  • L’indice dei prezzi degli articoli di abbigliamento è avanzato dell’1,2%.

In questo contesto, se a Francoforte la Bce non si azzarda neanche a parlare di una strategia di uscita dal PEPP, negli Stati Uniti il tapering in realtà è già iniziato.

E se in Eurozona le pressioni inflazionistiche hanno una natura molto probabilmente transitoria e temporanea, come dice Lagarde, negli Stati Uniti, l’assunto di Powell & Co. secondo cui il rialzo dell’inflazione è davvero una parentesi è sempre più scalfito dai dubbi.

“Un’altra grande sorpresa per l’inflazione Usa alimenta ulteriori dubbi sulle affermazioni della Fed, secondo cui tutto questo sarebbe ‘transitorio’, al punto che la Banca centrale Usa dice che la politica monetaria (Usa) potrebbe rimanere ultra-accomodante per altri tre anni – si legge nel commento di James Knightley, capo economista globale di ING.

L’economista reputa davvero concreto il rischio di rialzi dei tassi prima di quanto anticipato dalla stessa Fed, puntualizzando che “l’inflazione Usa potrebbe confermarsi superiore al 4% fino al primo trimestre del 2022, a fronte di un’inflazione core che è improbabile che scenda sotto il 3% fino al secondo trimestre dell’anno prossimo”.

Di conseguenza, dice Knightley, se per il meeting del FOMC della prossima settimana, ci si attende che “la Fed possa continuare a parlare di inflazione temporanea, con i dubbi che iniziano tuttavia a serpeggiare tra i suoi stessi funzionari, sospettiamo che il simposio di Jackon Hole di fine agosto possa rivelarsi molto interessante. Magari presentando un cambiamento nel linguaggio che davvero potrebbe aprire la porta all’annuncio di un tapering del Quantitative easing nel mese di dicembre“.

Il dado è tratto? ING certifica che, “con l’economia (Usa) che torna a ruggire, con il ritorno dell’occupazione e l’inflazione che rimarrà probabilmente più elevata per un periodo di tempo più lungo, continuiamo a ritenere che i rischi siano di un rialzo dei tassi di interesse (in Usa) prima del previsto. La Fed continua a dire a inizio 2024, ma noi riteniamo più probabile che il rialzo avvenga a inizi 2023 e forse anche prima“.